
Dunque, ho fatto i conti:
considerando 37 ore di vita tra la sera di venerdì 28 febbraio e il mattino di domenica 2 marzo:
in 18 ore di treno notturno (tra andata e ritorno), forse 5 ore di sonno (storto) fatte in tutto e oltre a 10 ore di lavoro a computer per preparare la lezione simulata la cui traccia ho avuto, secondo regolamento, poche ore prima dell’inizio del “viaggio”; circa 4 ore di auto; 3 ore di cose che dovevo fare con e per mia madre; 5 ore (tra una cosa e l’altra) dedicata alla partita “Napoli – Inter” vissuta con mia madre allo stadio Maradona ed infine un esame di abilitazione a conclusione del tutto.
Estendendo i “conti fatti”, dunque, tempo fa avevo deciso di sfruttare il “ponte” di carnevale per andare “giù” a trovare mia madre. Qualche giorno prima della partenza mi arriva la data della conclusione di quello che, forse, riguarda l’ultimo step, dopo innumerevoli corsi, concorsi, tfa, anni di prova, abilitazioni, ecc. dei percorsi nel mondo della scuola (tra sostegno e materia) che mi rimaneva da fare (e cioè l’abilitazione in Storia dell’Arte) e questa data è domenica 2 marzo alle ore 8 del mattino a Milano (tutto molto insolito, ma è così). Data che spezza quei giorni previsti per scendere giù.
Una mente sana avrebbe rinunciato allo “sbatti”, ma come già successomi altre volte, ho voluto un po’ sfidare il tempo e lo spazio e ho vissuto quelle 37 ore di cui prima.
Organizzo in maniera tale da riuscire ad essere alle 8 di domenica a Milano. Avendo anche i biglietti per la partita da vedere con mia madre allo stadio Maradona, che iniziava alle 18 di sabato 1 marzo e sarebbe finita dopo le 20, per sicurezza dovevo partire da Napoli con un treno dopo le 21.
Arrivare direttamente a Milano col treno, mi avrebbe fatto far tardi e allora cerco un posto dove lasciare l’auto il venerdì sera per poi riprenderla alla mattina (prestissimo) di domenica e andare a Milano per l’esame. Studio le varie coincidenze ed il posto giusto è Chiavari.
Quindi, la sera del 28 febbraio faccio Casale Monferrato – Chiavari in auto e treno alle 23. Arrivo a Napoli la mattina di sabato 1 marzo, mattinata di cose da fare, pomeriggio dedicato alla partita, riparto da Napoli per Chiavari alle 21:30 col ciuf ciuf notturno, arrivo alle 5:30 del giorno dopo (domenica 2 marzo), riprendo l’auto, viaggio per Milano, esame di abilitazione alle 8 e the end (in mezzo a tutto questo, lezione simulata preparata durante i due viaggi notturni consecutivi).
Alla fine tutto doveva coincidere nei tempi per farmi arrivare davanti alla commissione e così è stato e la discussione della lezione è andata pure alla grande.
Quella giornata è poi finita a caso con la visione del film FolleMente… “coincidenze, io non credo” (come diceva qualcuno).
Avevo pensato di tenere questo breve racconto per me e pochi altri, ma alla fine ho voluto condividerlo. Perché? A parte il mio solito discorso sull’uso che ne faccio dei social (ricordi di certe cose per il futuro), tra le altre cose, condividere pubblicamente mi aiuta a capire se tendo a modificare, omettere o abbellire certi dettagli e quanto i concetti universali di “ego” e di apparire incidano in tutto questo.
In fondo, l’esigenza di apparire e l’ego non sono nemici da combattere, ma parti di noi da riconoscere, comprendere e cercare di gestire nella maniera migliore (e giusta).
Oggi, poi, è perfetto per raccontare certe cose, visto che è Carnevale. Non lo dico per la mia parte di personalità “pagliaccia”. La metafora della maschera rispecchia bene questa dinamica di mostrare e nascondere. A tutti è capitato di mostrarsi diversi da come siamo, o di filtrare ciò che desideriamo far vedere di noi. Forse diventare davvero saggi significa proprio questa continua ricerca di autenticità: sapersi rivelare, mettere alla prova la nostra sincerità e, allo stesso tempo, imparare a osservare come reagiamo quando siamo “visti” da chi ci sta intorno. Se il nostro io non si confronta con l’altro, forse non si conoscerà mai davvero e conoscere se stessi “veramente”, è il vero potere da raggiungere.
Ho fatto, faccio e probabilmente continuerò a fare, un’innumerevole quantità di cose che non ho raccontato apertamente. Cose fatte da solo o per gli altri, insomma, cose che ho vissuto senza “pubblicità”. Sono sempre in difficoltà quando mi si fanno i complimenti e spesso, per diversi motivi, sono stato un’anguilla quando si è trattato di prendermi apertamente i meriti di qualcosa.
Probabilmente (forse anche un po’ inconsciamente), il fatto stesso che sto scrivendo questo post è dovuto al fatto di dover in qualche modo giustificare che mi sto “esaltando” e ho vergogna a farlo.
Analizzando il tutto, insomma, anche se non esagerato, a parte il mio lato di personalità da “saltimbanco” (che è un concetto diverso), mi rendo conto che, come penso tutti, un “io” che si vuole mostrare ce l’ho e bisogna in qualche modo, più o meno che sia, considerarlo. I social sono nati anche per questo. Per sfruttare questa esigenza che ogni essere umano ha di default. Post FB, storie IG o qualsiasi altra forma sia (virtuale o non virtuale), insomma, “siamo fatti (anche) così”.
Una cosa a cui sto pensando solo ora mentre scrivo, è il collegamento tra ciò che ho fatto e la traccia che mi è uscita per la “lezione simulata” e cioè un collegamento tra la storia dell’arte e la tecnologia immersiva fatta di realtà virtuale, realtà aumentata, ecc. (dentro cui io ho alzato il livello di difficoltà inserendo, tra le altre cose, un alunno cieco, che quindi non può sfruttare “certe cose”, e un collegamento tra videogiochi e storia dell’arte). Spesso mi è capitato di vivere una realtà aumentata non virtuale e questo racconto ne è solo un ultimo esempio.
Sto però pensando da un po’ che, anche se lo spingersi al limite, trovare comunque soluzioni e poi farcela, sia gratificante, credo di star solo ricercando di nuovo qualcosa che mi manca e cioè i momenti in cui non fare “nulla”…
Infine, sempre riguardo al racconto, visto che di formazione sono archeologo, non posso che citare la questione che la Storia ci dice che essa stessa sia nata con la nascita della scrittura, attraverso il mettere nero su bianco varie storie.
Questa storia, quindi, ora l’ho inserita nella Storia.
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